Abstract
Dopo aver delineato l'importanza epocale della figura del professionista riflessivo, in questo articolo si rivolge l'attenzione alle critiche che la nozione ha sollevato. In particolare si discute l'accusa secondo la quale la professionalità riflessiva sarebbe complice della contemporanea tesi culturale del cosmopolitismo incompleto e della logica del lifelong learning. In questo orizzonte, da un lato si indicano le ragioni per le quali l'autointerpretazione costruttivista che Donald Schön ha dato alle sue idee possa aver contribuito al loro fraintendimento e appropriazione lungo una traiettoria strumentalistica, operazionalizzata e intellettualista; dall'altro, si rivendica l'intreccio creativo di dimensioni sperimentali ed esistenziali che è presente nel congegno concettuale di Schön. Proprio per rafforzare tale legame di dimensioni e per scongiurare adulterazioni della nozione del professionista riflessivo in senso strumentalista e orientato alla learnification, si invoca la tradizione degli esercizi spirituali su sé stessi, teorizzata da Foucault, come possibile alleato per pensare la riflessività (anche) in termini di soggettivazione e senza cedimenti alle indesiderate derive del discorso dell'apprendimento.
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